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SCIOPERO Venerdi’ 26

Alle ore 14:00 appuntamento in Via Rosa Raimondi Garibaldi 15 (regione Lazio)

In concomitanza con il tavolo congiunto Regione-Provincia-Comune in cui sono stati convocati:

Italtel – Telecom Italia – RSU Roma – OO.SS.

Dobbiamo lottare ora piu’ che mai per il nostro posto di lavoro!

TENETE BEN PRESENTE, CHE QUESTO E’ LATTEGGIAMENTO DELLA

“”DIREZIONE RISORSE UMANE””




“VERGOGNA DI CHE ?”



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Per l’Italtel arriva l’ultima chiamata....

...Due scommesse per non scomparire La società rischia di restare vittima dell’immobilismo con cui ha reagito negli ultimi 56 anni al progressivo calo degli investimenti di Telecom Italia

Di: STEFANO CARLI


FONTE:



Un anno fa, a fine 2008, erano 2.360, poi il fatturato ha continuato a calare e dodici mesi dopo, fine 2009. erano diventati 2.100: primo effetto di una cura dimagrante per quasi 300 unità. Adesso il piano definitivo messo a punto dall’a.d. Umberto De Julio, arrivato a ottobre 2008, parla di altri 500 esuberi per portare l’occupazione complessiva di Italtel, l’ex gioiello delle tlc italiane, a 1.600 persone. Insomma, quasi 800 persone in meno in diciotto mesi. Più della Glaxo (qui non sono tutti ricercatori ma il tasso di scolarizzazione è comunque alto), più della metà di Termini Imerese. E Italtel non è la Fiat. Il suo fatturato 2008 è stato di 467 milioni, parecchio più basso dei 546 milioni del 2007.
Dire che Italtel è stata il gioiello delle tlc italiane non è retorica. Ancora oggi due linee telefoniche su tre in Italia vengono gestite da apparecchiature targate Italtel (quello che avanza è due terzi Ericsson e un terzo AlcatelLucent). E’ il frutto dei grandi investimenti sulla rete Telecom negli anni Ottanta. Si può allora pensare che la crisi di oggi dipenda dal fatto che Italtel non ha saputo passare dai tempi del monopolio pubblico e delle partecipazioni statali al mercato libero del dopo 1998, ma non è così. L’ultimo grande successo industriale di Italtel è datato 2003: l’anno in cui Telecom Italia, primo tra i grandi gruppi telefonici mondiali, decise di passare tutta la sua rete di trasporto al protocollo Ip. Fu un’innovazione epocale, portò efficienza e risparmi di gestione, tagliando di due terzi la necessità di avere delle grandi centrali di transito. E fu un successo made in Italy. L’ultimo però.
La specializzazione di Italtel è infatti nel cosiddetto softswitching, la trasformazione delle vecchie centrali telefoniche dal sistema a circuito a quello a pacchetto. C’è arrivata per prima, ha fatto quelle di Telecom dopo di che si è fermata. Ha commesso l’errore di continuare ad attendere le commesse di una Telecom che ha invece continuato a tagliare i budget di investimenti e manutenzioni. Lo switching assorbe oggi in media meno del 5% del budget di spesa tecnologica di una telecom. Un budget che per Telecom Italia nel 2009 è stato di 400 milioni.
Non ha saputo andare all’estero quando ancora il mercato non era chiuso dai grandi colossi mondiali. Ed è paradossale vedere che l’azienda fa oggi all’estero appena un quarto del suo fatturato mentre le vecchie aziende che facevano la manutenzione di rete per Telecom, quelle che riparavano i guasti e cambiavano i pali, oggi sono realtà molto più solide e con una buona metà del fatturato realizzato oltre confine.
Italtel non ha saputo poi spostarsi su altri prodotti. Ma nemmeno sfruttare al meglio le eccellenze di cui dispone: con una Telecom Italia che è stata tra i primi operatori a credere nell’Adsl, Italtel non ha mai pensato di entrare nella produzione di modem e altri sistemi per la larga banda. Cosa che in compenso fa la Pirelli Broadband Solutions, a cui il gruppo Telecom ha affidato lo sviluppo di alcuni sistemi per gli utenti di reti a banda larga ai tempi della gestione Tronchetti. Si era invece lanciata nella produzione di decoder per la tv via satellite ai tempi della piattaforma Stream di Telecom, ma è un’avventura finita presto.
Oggi nel suo settore Italtel fronteggia giganti come Huawei, Ericsson, NokiaSiemens Networks, AlcatelLucent, Cisco. Un mercato in cui un gigante come Nortel è appena fallito; in cui Ericsson e NokiaSiemens si stanno sempre più spostando sui servizi (Ericsson trae dagli apparati di rete ormai solo la metà dei suoi ricavi, Italtel ancora l’80%).
Anche quella che doveva essere la grande occasione per Italtel di entrare nel grande giro delle tlc mondiali si è alla fine dimostrata un’occasione mancata: l’ingresso di Cisco, numero uno mondiale dei router Ip, nell’azionariato nel 2004 non ha reso l’azienda italiana più dinamica. E forse ne ha anche frenato la possibilità di sviluppo. Italtel è rimasto il suggello di un’alleanza commerciale tra Telecom e Cisco e poco più. In compenso, negli anni, sono state respinte le avances di altri gruppi come Ericsson o Siemens, che forse non avevano però intenzioni diverse da quelle di Cisco. O quelle di una realtà in ascesa, come la californiana Juniper Networks, il concorrente di Cisco sui router, che ha provato a coinvolgere Italtel nello sviluppo di alcune soluzioni da inserire nei suoi sistemi, ma senza successo.
Adesso le strade davanti a Italtel sono sostanzialmente due. Da una parte continuare a ingegnerizzare sistemi per reti telefoniche, a immaginare cioè prodotti fatti soprattutto di software e di componenti materiali comprati per la gran parte nei mercati asiatici, per continuare a lavorare nelle centrali telefoniche che smistano il traffico di voce (sempre meno) e dati che passano sui cavi. E per cercare di inserirsi nel passaggio epocale delle reti dal rame alle fibre ottiche. La seconda strada è quella della «consulenza»: agire cioè come un «system integrator» specializzato nel risolvere le esigenze dei sistemi di comunicazione di grandi imprese. Una strada, quest’ultima, in parte già intrapresa negli ultimi anni, con un portafoglio clienti che è però solo italiano e con un forte dna «statale». Eni, Enel, le grandi banche come Unicredit o Mps.
Entrambe le strade promettono di essere in salita. La prima, quella dei prodotti, vede Italtel fare i conti con il tempo perduto. Ci sono settori di frontiera dove operano realtà italiane dinamiche e in crescita. Coma la Idf, Industrie Dial Face, un centinaio di dipendenti, ricavi sui 50 milioni ma attiva su una nuova frontiera come le frequenze ottiche a più colori da far passare su una stessa fibra: un sistema per dividere letteralmente in quattro quei sottilissimi capelli che sono le fibre ottiche.
Certo, la società si avvantaggerebbe di sicuro da un effettivo avvio degli investimenti sulle nuove reti ottiche. Ma sempre ricordando che chiunque investirà non sarà disposto a pagare più del dovuto in nome del sistema paese. Resta solo la navigazione in mare aperto nel mercato già affollato dei system integrator. Ma anche qui Italtel dovrà giocare da sola. L’idea di creare un polo italiano non trova entusiasmi da nessuna parte. Né tra i potenziali aggregatori, né nella stessa Italtel. Che se dovesse integrarsi oggi finirebbe per scomparire. Meglio provare a recuperare posizioni prima di parlarne. Sperando che il tutto non si trasformi in una guerra tra «nani».

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